(2/2) Rico Semeraro a PL: "Avrei dato qualsiasi cosa per una partita in Europa. Sticchi Damiani presidente alla mia maniera"
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“Papà voleva riportare entusiasmo a Lecce e Zeman gli sembrava la scelta giusta per farlo. I tifosi erano delusi. A me non piacque per nulla il suo atteggiamento durante Lecce-Parma. Credo sia stato uno dei momenti più bassi durante la nostra gestione. In molti, ancora oggi, parlano di biscotto ma non è stato così. Semplicemente entrambe le squadre avevano paura di perdere il loro obiettivo e, a 10 minuti dalla fine, hanno rallentato. Era l’ultima partita, c’erano 40 gradi e non aveva nessun senso compromettere tutti i sacrifici di una stagione. Lui si mise dietro la panchina, per esprimere il suo disappunto. È stata una brutta pagina e dopo quello non avremmo mai potuto proseguire insieme. Qualche anno dopo mio padre lo prese perché sperava di vincere la B. Gli dissi di fare attenzione, Zeman è un allenatore bravissimo ma, come tutti, guarda più al suo interesse che a quello degli altri. Quello è stato l’unico anno di B in cui non siamo riusciti a conquistare la promozione e vi assicuro che restare in cadetteria rappresentava una mazzata incredibile. Molto più che retrocedere, anche se ora è diverso perché anche retrocedere ai miei tempi era molto più duro di adesso che c’è un sostanzioso paracadute”.
Dopo tutti i ricordi del passato, la nostra chiacchierata diventa più seria, toccando argomenti che Rico vorrebbe dimenticare. Dalla voce, infatti, si percepiscono rabbia e delusione per questioni che lo hanno turbato e che ancora, quando riaffiorano, non lo lasciano indifferente:
“Io ho fatto il dirigente del Lecce con grande passione. Poi ho subito una contestazione, alla seconda giornata di campionato dopo un pareggio con l’Ascoli, ed ho deciso che era giusto dimettersi. Quel giorno ha rischiato la vita un bambino, è stato davvero assurdo, surreale. Credo tutta quella rabbia provenisse da lontano, dalla stagione precedente e dell’addio di Zeman. Non voglio però giustificare, è stato quasi mortificante assistere a tutto quello e quindi ho detto basta. Dopo ho messo il Lecce in vendita, ricevendo un’offerta importantissima, quasi irrinunciabile, ma mio padre ha deciso di non vendere. Ve l’ho detto, era troppo tifoso. Per fortuna se ne è andato con il Lecce che è tornato in Serie A. Si è recato al Via Del Mare per Lecce-Spezia in una condizione fisica impossibile per chiunque. Credo che, sotto quel punto di vista, si sia spento serenamente”.
Non è possibile intervistare Rico Semeraro e non parlare del derby maledetto, una partita che ha condannato il Lecce ma anche la sua famiglia, che ha dovuto accantonare tutti i propri progetti e vendere poi alla famiglia Tesoro:
“Ho una mia visione delle cose, sono abituato a pormi delle domande ed a darmi delle risposte. Poi, resta il fatto che c’è una sentenza, anche penale, e se i giudici hanno stabilito che c’è stato un tentativo di combine io lo accetto. È stato un momento tremendo, mio padre ha sofferto davvero, come se fosse una malattia. Pensate che nei 10 grandi scandali del calcio italiano, negli anni in cui abbiamo gestito noi il club, non è mai comparso il nome del Lecce. In una Lega composta da 42 squadre, tra Serie A e B, quella giallorossa è stata l’unica società a non essere mai stata citata o avvicinata a questioni extreacalcistiche. Purtroppo, siamo scivolati su una buccia di banana e di questo sono ancora oggi molto rammaricato. Abbiamo fatto sacrifici disumani, eravamo una società modello, ci chiamavano il piccolo Milan, e poi è successo quello che è successo. Dispiace, tanto”.
Rico adesso vive a Londra, gestisce i suoi affari e guarda il Lecce da lontano. Giura di seguirlo poco, eppure parlando con lui si ha l’impressione che uno sguardo alla sua squadra del cuore lo butti sempre, giusto per vedere se tutto va bene, come si fa con i grandi amori che finiscono:
“Il Lecce di adesso lo seguo poco, allo stadio non vado da 12 o 13 anni, da quel derby. Quello di adesso mi sembra l’unico Lecce possibile. Ci sono scelte obbligate da compiere se si vuole sopravvivere in quel mondo. Ci hanno accusato di non aver voluto puntare alla UEFA. Lo dico ora, a distanza di tanti anni: il Lecce non ha mai potuto programmare di andare in Europa. Ci attrezzavamo per la salvezza, poi qualora fosse arrivato qualcosa di più di certo ci avremmo provato. Programmare un progetto così ambizioso, però, per noi era molto rischioso perchè se non lo si centra si rischia grosso. Credete davvero che non mi sarebbe piaciuto mettere la mia firma su un traguardo così storico. Quando sentivo dire che la società voleva retrocedere impazzivo per davvero. È folle questo ragionamento. Il Lecce attuale sta facendo le cose che deve fare, lavorando con i giovani e generando profitto. I tifosi giallorossi non devono avere paura quando si cedono i giocatori. Le cessioni servono per permettere al club di crescere, sembra paradossale ma è così. Io mi auguro che un giorno il Lecce possa giocare una partita in Europa, vi assicuro che io avrei dato una parte del mio corpo per riuscirci”.
Infine, prima di chiudere, Rico Semeraro ha voluto esprimere tutta la sua vicinanza a Saverio Sticchi Damiani, che ha definito un presidente alla sua maniera, uno che si spende 24 ore su 24 per la sua creatura:
“Sticchi Damiani svolge il ruolo di presidente a 360 gradi, come lo facevo io. Il dirigente non si rilassa mai, non stacca mai, al contrario dei giocatori. Il dirigente lavora quando i giocatori stanno in vacanza, lui non fai mai vacanze, è un lavoro durissimo se lo fai come lo facevo io e come lo fa Saverio Sticchi Damiani. È una guerra, a volte anche contro i mulini a vento, però è un bellissimo lavoro, una soddisfazione straordinaria quando si vince ma anche quando si creano rapporti umani straordinari. Non capisco come mai quando c’ero io avevamo 8 mila abbonati, pochi se vedo i numeri di adesso. Eppure, in 7 anni, abbiamo fatto 6 stagioni in A e una promozione dalla B alla massima serie. Credo che i tifosi del Lecce si fossero abituati e volessero qualcosa di più. Ma la A in questo territorio è già un qualcosa di incredibile”.
Abbiamo parlato per 45 minuti, trascorsi velocemente perché più che un’intervista è diventata una chiacchierata. Il passato non si può cancellare ed è giusto che sia così: nel bene e nel male c’è e ci ricorda quello che abbiamo fatto. Per rifarlo o per farlo meglio.