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Che si segua quello tradizionale o si preferisca il sempre più apprezzato autosvezzamento, è fondamentale ricordarsi della sua importanza Lo svezzamento è una tappa essenziale nello sviluppo di ogni individuo. Segna un primo passo verso l’indipendenza che per gli esseri umani è una conquista che impiega tanto tempo e si compone di tanti momenti importanti. Passare dall’alimentazione liquida a quella solida presuppone un grande cambiamento nelle abitudini del bambino. Di certo, l’età aiuta ad affrontare ogni trasformazione con naturalezza e quasi senza rendersene conto. Eppure è fondamentale assicurare la giusta continuità e dare il dovuto spazio al piccolo per prendere dimestichezza con questo nuovo modo di approcciarsi al cibo. È possibile che il bebè abbia già mostrato interesse per gli alimenti ingeriti dagli adulti. Mamma, papà, altri fratelli, sono tutti un punto di riferimento da imitare nel lungo processo che porta alla crescita. Ma prima di proporre un alimento nuovo al bebè è bene conoscere alcune nozioni di base.   A quanti mesi iniziare lo svezzamento In passato si riteneva che il bebè fosse pronto per lo svezzamento già a tre mesi. Questa erronea convinzione derivava dall’affermarsi dell’abitudine di proporre il latte in formula. Le prime composizioni erano carenti di nutrienti importanti e per questo si considerava opportuno integrare vitamine e altre sostanze già in così tenera età. Oggi è unanime la consapevolezza che il latte rappresenta l’alimento esclusivo per il bebè fino al sesto mese di vita. La ragione si fa risalire alla parziale immaturità del sistema digerente che si rivela in grado di processare alimenti diversi, compresa l’acqua, solo dopo aver raggiunto i sei mesi. È possibile che il piccolo mostri verso il quarto mese interesse verso i cibi che assumono i genitori, questo anche perché risponde a un istinto ben preciso. Il bambino, per molto tempo e almeno fino al settimo anno di vita, apprende per imitazione. Quindi il modello di riferimento, i genitori, è una fonte costante di ispirazione e nuovi spunti che permettono al piccolo individuo di apprendere come si sta al mondo. Ancora una volta, aspettare il sesto mese è la raccomandazione ottimale.   Perché è importante mangiare tutti insieme Come già detto, è importante dare spazio al bimbo perché possa osservare e imitare il comportamento dei genitori. Già in questa primissima fase del suo sviluppo, il bebè è in grado di comprendere i gesti degli adulti e riprodurli in maniera molto verosimile. Oltre all’istinto di portare in bocca il cibo che trova nel piatto dei genitori, i piccoli iniziano già a comprendere alcune delle tappe che scandiscono la giornata. Eventi particolarmente lieti come il bagnetto sono salutati con entusiasmo già quando ne riconoscono i preparativi. Tra i gesti che fanno parte del quotidiano, è compresa anche l’alimentazione. Del resto, da qui a pochi mesi, i pasti saranno regolarmente consumati tutti insieme a tavola. Non c’è niente di strano nell’apparecchiare già un coperto in più e permettere al piccolo di partecipare a questo momento conviviale. Di solito, invece, al pasto del bebè viene dedicato un momento diverso rispetto a quello degli adulti. Per evitare di caricare la mamma di questo impegno, anche il papà può assistere il bebè durante i pasti dato che è già in grado di stare comodamente seduto sulla sua sediolina.   Lasciamo che si sporchi La libertà di mangiare è uno dei diritti che spesso viene negato ai bebè. Gli si impone un orario, un menu e spesso gli si nega di provare con le proprie mani a mettere in bocca il cibo. Permettere al piccolo di pasticciare e sperimentare aiuterà nelle fasi successive, quando un inevitabile diffidenza prenderà il posto della più spavalda sperimentazione. Su piccolo e forte, il portale di comparazione di prodotti per la prima infanzia, è possibile trovare bavaglini integrali e coperti per le prime pappe perfettamente a prova di lancio.   Svezzamento tradizionale Uno dei dubbi che attanagliano i neogenitori riguarda la modalità con cui inserire i cibi nuovi nella dieta del bebè. In alcuni casi i consigli delle nonne e dei pediatri meno aggiornati prevalgono. Questo tipo di svezzamento, il tradizionale, prevede l’introduzione progressiva degli alimenti e delle loro consistenze. Una prima discriminante è fatta sulla consistenza del cibo, che viene proposto ancora in forma liquida. Quindi è il tempo dei primi brodini di verdure e a volte di carne. In seguito si propone cibo frullato per dare al piccolo modo per abituarsi alla nuova consistenza. Si tratta di un percorso meno rischioso, cauto e attento. È utile perché permette di scoprire in tempo l’eventuale insorgenza di allergie alimentari con un intervento mirato e tempestivo. È bene ricordare, però, che le recenti raccomandazioni prevedono l’introduzione dei cibi allergizzanti nella finestra che va dal sesto all’ottavo mese. In questo modo, nella maggior parte dei casi, si scongiura il rischio di sviluppare intolleranze in seguito.   Autosvezzamento Questa che sembra una nuova tendenza in fatto di svezzamento, di fatto è una scienza a tutti gli effetti già dagli anni ’70. Si fonda sull’evidenza che il bambino sia in grado di scegliere da sé di quali alimenti cibarsi semplicemente scegliendoli tra quelli proposti a tavola. Qual è il trucco? Tutta la famiglia dovrà cambiare dieta e seguirne una ben bilanciata, leggera e a basso tenore di grassi e sale. Quindi, di fronte a una scelta varia e ricca di nutrienti preziosi, il piccolo potrà lasciarsi conquistare da colori, forme e consistenze. Infatti, uno dei principi su cui si fonda l’autosvezzamento è di lasciare il piccolo libero di scegliere e portare alla bocca il cibo. Non serve passare e frullare gli alimenti dunque. A questo proposito è bene ricordare che nel neonato, specie quello allattato al seno, il riflesso di estrusione che gli permette di sputare quello che ha in bocca è più attivo rispetto a un adulto.  
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