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L'ex allenatore del Napoli e della Nazionale italiana Roberto Donadoni è tornato a parlare ai microfoni di Radio Anch'io Sport su Rai Radio 1 sul momento della selezione italiana.

Donadoni è stato il Ct degli Azzurri dal 2006 al 2008, raccogliendo la pesantissima eredità lasciata da Marcello Lippi fresco Campione del Mondo in quel magico 9 luglio 2006.

Dall'Europeo alla partita dell'altra sera a Parigi sono cambiate un po' di cose, anche a livello mentale. Quando vai incontro a una figuraccia come agli Europei, c'è voglia di riscatto”, ha esordito Donadoni

Sull'importanza della condizione mentale

La risposta dell'altra sera è stata ottima. Come ho provato sulla mia pelle da ct, quando si arriva a fare queste competizioni a fine stagione come gli Europei, è chiaro che la condizione, sia fisica che mentale, incida tantissimo.

Sulla prestazione dei giovani

I giovani, coloro che hanno esordito dall'inizio, hanno dato subito una risposta positiva, soprattutto di freschezza, questa è la cosa più importante. 

In Nazionale è fondamentale riuscire a creare un certo tipo di ambiente: i giocatori si vedono saltuariamente e creare all'interno del gruppo questa alchimia diventa decisivo per arrivare a certi risultati. 

La Nazionale deve essere vissuta in questo modo: spesso e volentieri si avvertiva quasi l'impegno in Nazionale come un qualcosa di troppo e di più, non può essere così. Quando si indossa la maglia azzurra, si deve sentire sempre la pelle d'oca.

Sui troppi stranieri

Deve cambiare la politica all'interno dei club. Ai miei tempi c'erano un massimo di tre stranieri, nel nostro Milan avevamo i tre olandesi con cui qualcosa abbiamo vinto, e poi tutto il resto della squadra era italiano. 

Ora è esattamente il contrario. Bisogna avere la voglia di investire sui vivai, sui giovani e dar loro la possibilità di giocare. Ci sono squadre con ottimi vivai, l'Atalanta è una di queste. Ma anche le Primavere ormai hanno in squadra 7-8 stranieri.

Sui problemi in attaacco

Gli attaccanti di quel periodo, oltre a Totò [Schillaci], erano Mancini, Vialli e Baggio. Avevamo un assortimento differente dal punto di vista qualitativo. 

Gli attaccanti di oggi sono più giocatori di squadra e non finalizzatori o interpreti individuali. Ogni ct deve sapere con quale materiale umano lavorare, ma è il bello del calcio. Non hai il finalizzatore, bisogna lavorare più di squadra.

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