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Lecce-Salernitana sarà la sfida fra due squadre agli antipodi.

Da un lato ci sono i giallorossi, miglior attacco del torneo con 58 reti messe a segno, 14 delle quali siglate nelle ultime quattro partite. Dall’altro, invece, la compagine campana, fortezza del campionato cadetto: appena 27 gol subiti, che di per sé è un dato rilevante ma non sbalorditivo, considerando che, ad esempio, l’Empoli ha subito tre gol in meno, mentre Chievo, Cittadella e Pordenone, ne hanno subito appena uno in più. La statistica, però, diventa impressionante se consideriamo l’ultimo frangente del campionato. Dopo il passivo di 10 reti nelle tre sconfitte consecutive con Monza, Pordenone ed Empoli, a cavallo fra dicembre e gennaio, la Salernitana si è letteralmente trincerata: solo quattro gol subiti nelle ultime 12 partite, con Belec che mantiene la porta imbattuta da ben sette incontri. 

Le differenze fra Lecce e Salernitana sono evidenti non solo dal punto di vista statistico ma anche con riferimento allo stile di gioco: da una parte il 4-3-1-2 votato all’attacco di Eugenio Corini e dall’altra il granitico 3-5-2 di Fabrizio Castori. Tante differenze, pochi punti in comune ma una classifica sostanzialmente identica. Appena un punto, infatti, separa i giallorossi al secondo posto a quota 52 dai granata, inseguitori a 51. A otto giornate dal termine, entrambe le compagini sono pronte a lanciare lo sprint per la Serie A diretta. 

Questo aspetto porta con sé un importante insegnamento: non esiste una ricetta vincente in uno sport come il calcio, che tutto è tranne che una scienza esatta. Ed è un messaggio non da poco, in un periodo storico in cui il dibattito fra resultadisti e pretoriani del bel gioco si è fatto quanto mai accesso. Che poi, “cosa vuol dire giocar bene? Io non l’ho ancora capito, se qualcuno me lo spiega mi metto lì e cerco di capire” direbbe Massimiliano Allegri, e a dargli torto si farebbe molta fatica, in effetti. La bellezza, d’altronde, esiste nella mente di chi contempla. E allora il bel calcio diventa un concetto tanto ideale quanto improbabile da definire in senso assoluto. Anche una fase difensiva fatta per bene sa essere entusiasmante. Il cholismo del primo Atletico Madrid di Diego Simeone ne è un esempio lampante.

In campo, infatti, ciò che ha valore sono le idee e il modo di attuare le stesse. Ogni squadra ha un suo idiolettoun particolare codice calcistico proprio, immediatamente riconoscibile da chi osserva (difficilmente, invece, da chi si limita a guardare). In una conferenza stampa di qualche giorno fa, il portiere Gabriel, nel rispondere a un quesito sui rischi di un calcio propositivo, è stato piuttosto chiaro: “Una squadra deve avere le sue idee. Nel calcio non esistono schemi vincenti, ciò che conta è avere un’idea di calcio e una squadra pronta a seguirla. Il Lecce ha la sua idea e la persegue in un certo modo. Gli errori? Fanno parte del gioco. Sbagliare è lecito, sarebbe sbagliato venire meno alle proprie convinzioni per un errore”. Period.

Anche l’acceso dibattito sulla ormai famigerata costruzione dal basso finisce per lasciare il tempo che trova. La soluzione va ricercata facendo rapporto rischio-beneficio e, in tal senso, è stato chiarissimo Corini ai microfoni dei giornalisti alla vigilia della trasferta di Venezia: “Il quarto gol del Lecce contro il Chievo è il manifesto del nostro calcio, perché l’azione parte da una costruzione bassa e si sviluppa con 16 passaggi prima di mandare in rete Pettinari. Chi vuole fare calcio deve assumersi dei rischi, se vuoi praticare un calcio ricercato ci vuole coraggio. È una questione di mentalità, può succedere di sbagliare qualche volta una palla in uscita, ma con una idea di gioco di questo tipo i vantaggi superano di gran lunga i rischi”. Anche perché basta saper osservare (e non solo guardare, as always) per capire che, talvolta, anche la (spesso) tanto agognata palla buttata in avanti può essere un rischio, soprattutto se si è mal posizionati in campo e si si rinvia male la sfera consegnandola all’avversario. Ma questa è un altro discorso. 

Bisogna prendere atto che il calcio è cambiato e nel 2021 viaggia spedito nella direzione della costruzione bassa e palla a terra. È un principio comune alla gran parte delle squadre che ambiscono a traguardi importanti, a tutti i livelli. L’importante, in ogni caso, è saper leggere i momenti della partita e sapersi adattare agli stessi. Il principio, l’idea deve essere chiara e definita, l’attuazione, invece, deve mutare in base alle situazioni di gioco.

A fare la differenza, poi, sono le qualità dei singoli. E questo è un aspetto che spesso passa sottotraccia in linea teorica ma che nella pratica finisce per essere decisivo. Arrivando alla Juventus, Maurizio Sarri disse: “Per 70 metri di campo pretendo di vedere la mia impostazione, ma negli ultimi 30 metri voglio vedere l’interpretazione dei giocatori”. La qualità, infatti, soprattutto a ridosso dell’area di rigore, ma anche nel ricamare il gioco in mezzo al campo, fa la differenza. L’allenatore deve andare a fare la guerra con i mezzi che ha a disposizione e, al netto dell’importanza che assume il saper dare una impronta di gioco alla squadra, nell’economia della partita le giocate dei singoli avranno sempre il loro peso specifico rilevante. 

E in tutto ciò, la Salernitana? Castori sembra aver plasmato i granata sugli insegnamenti de L’Arte della Guerra di Sun Tzu: “I buoni combattenti del passato in primo luogo mettevano sé stessi nella possibilità di non subire sconfitta e poi attendevano l’opportunità di vincere il nemico. Assicurarsi contro le sconfitte dipende unicamente da noi, ma l’opportunità di battere il nemico è data dal nemico stesso. […] Per assicurarsi contro la sconfitta è implicito l’uso di tattiche difensive”. Un testo (uno dei più antichi trattati di guerra giunto ai giorni nostri) che ispirò anche la cavalcata di José Mourinho e della sua Inter fino al tetto d’Europa.

La Salernitana è pragmatica, sa chiudersi e sa chiudere gli spazi, alzando il muro davanti alla propria area di rigore. Quando attacca lo fa senza fronzoli. Perché arrivare nell’area avversaria con 20 passaggi quando basta una palla ben messa sulla testa della punta che fa la sponda per Tutino? Idee pratiche ed efficaci, che portano risultati.

Perché alla fin fine, ciò che conta è il responso del campo, a prescindere dalle idee. L’obiettivo è comune a tutti, le strade per giungervi sono molteplici. Lo si può fare con la palla lunga o col fraseggio stretto. Il calcio, d’altronde, è bello anche perché è vario.

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