Il visionario e la “pasionaria”. Intervista a Marina D'Arpe, la moglie di Saverio Sticchi Damiani
L'INTERVISTA
Ce le ricordiamo tutti le immagini di Colombo che sigla il rigore contro il Monza scatenando l'esultanza dei tifosi del Lecce. Ci ricordiamo anche lei, seduta in tribuna accanto al marito, "intuire" il gol un attimo prima che la palla entri, già in piedi ad esultare una frazione di secondo prima degli altri.
Marina d'Arpe, moglie di Saverio Sticchi Damiani, ormai la conosciamo tutti, sempre accanto al marito, tifosissima del Lecce da quando era bambina. L’abbiamo intervistata già lo scorso anno e ha portato bene. Vogliamo ripeterci, non si sa mai…
Da moglie del Presidente ma anche da osservatrice privilegiata, quali i meriti e di chi?
È stato un campionato difficile, lunghissimo, con un Mondiale al suo interno che ha comportato uno stop delle competizioni e una ripartenza praticamente da zero. Una follia che spero non si ripeta mai più. Noi ci siamo presentati ad Agosto con una squadra composta da tanti giovani che non avevano mai giocato in serie A, il capocannoniere del campionato svizzero, più un campione del Mondo da “recuperare” sotto il profilo atletico e anche mentale. Le premesse agli addetti ai lavori non sembravano delle migliori. Infatti molti hanno puntato sulla retrocessione del Lecce già a Gennaio.
Invece come è andato il pronostico?
È andato che hanno perso la scommessa. Il nostro Lecce non solo si è salvato con una giornata di anticipo, ma non è mai neanche stato in zona retrocessione. Penso che i meriti di questa impresa si debbano suddividere tra direttori sportivi, staff tecnico e Società. Corvino e Trinchera hanno avuto il coraggio e la qualità per “scommettere” sulla rosa, scegliendo giocatori per la maggior parte poco conosciuti. Due nomi su tutti: quello di Federico Baschirotto, arrivato in Salento nella diffidenza generale e rivelatosi uno tra i giocatori simbolo di questa stagione e quello di Lamek Banda, un esterno d’attacco giovanissimo, scoperto in Israele, un giocatore che so già che molti ci invidiano.
Ha parlato dello staff tecnico. Quali sono i principali meriti secondo lei?
Ha avuto la capacità di far compiere alla squadra un percorso di forte crescita durante l’anno e una serie di intuizioni importanti dal punto di vista tattico. Penso a Oudin impiegato ad un certo punto come mezz’ala e a Baschirotto come centrale difensivo. Poi però c’è la Società, una famiglia accogliente composta dai soci sempre presenti, dagli amatissimi collaboratori e dal nostro Presidente.
“Nostro presidente”? Non suo marito?
Permettimi una considerazione in più su di lui, non come moglie appunto, ma come testimone del suo lavoro. È uno dei pochi esempi recenti di dirigente, non solo sportivo, in Italia, che nei massimi momenti di difficoltà, anche ambientale, ha avuto il coraggio di assumere pubblicamente su di se la responsabilità di scelte e decisioni. In modo onesto, ma anche coraggioso, ha invitato i più critici a prendersela con lui, cercando di sollevare dalla pressione tutti gli altri.
Cosa ha pensato quando il Lecce ha iniziato ad inanellare risultati positivi e poi quando sono arrivati quelli negativi. Che meriti e che responsabilità ha ravvisato?
Devo essere sincera, c’è stato un momento in cui, come molti, ho sognato che avremmo potuto fare un campionato con un obiettivo diverso dalla salvezza. Dopo Bergamo per la prima volta durante un campionato, ho pensato che questo sarebbe potuto essere meno sofferto rispetto a quelli a cui storicamente eravamo abituati. Da quel momento in poi, neanche il tempo di fantasticare, è arrivato il calo di risultati. Mai di impegno. Complice anche un po’ di sfortuna. La mia reazione è stata abbastanza irrazionale (ride), non riuscendo ad accettare la situazione ho pensato di sfogare sul mio povero marito tutta la frustrazione e la paura da tifosa semplice. Diciamo che ho creato in casa un ambiente a dir poco “inospitale”, lo tempestavo di domande, chiedevo spiegazioni, pretendevo da lui certezze sulla salvezza.
Non dormiva il povero Pres!
Si, dormiva poco in quel periodo e nei momenti in cui il poveretto riusciva a prendere sonno, lo svegliavo in piena notte per fargli condividere l’ansia che mi teneva sveglia. Un piccolo inferno. Negli ultimi tempi, penso che preferisse lavorare fino a tardi, pur di non fare rientro in casa.
Va be’, ma quali erano le risposte che le dava?
Ai miei interrogativi Saverio ha sempre reagito ostentando sicurezza. Può darsi che fosse solo una strategia di uscita, è certo che mi abbia sempre detto che ci saremmo salvati ed anche con una giornata di anticipo e così è stato.
Secondo lei l'organico allestito era idoneo alla salvezza? Oppure giocare nel lecce con questa società e questi tifosi ha aiutato i giovanissimi ragazzi ad esprimersi meglio?
Come ho accennato prima, era un organico allestito con molti giovani, tante scommesse, tutte scelte “coraggiose” fatte dalla nostra area tecnica.
Non mi ha gratificato che qualche giornalista abbia definito la nostra rosa “acquistata al discount”, o la nostra Società come la più “povera” del campionato. Mi permetto di considerare che la ricchezza, o meno, di un’azienda si misura anche valutando la sua esposizione debitoria. E il Lecce, su questo fronte, rispetto alle altre compagini della serie A, è orgogliosamente tra le più sane. Noi non siamo i più “poveri”, siamo semplicemente i più virtuosi. E quelli che maggiormente rispettano le regole. Per una scelta, difficile ma, allo stesso tempo, lungimirante. C’è stata, per tutto l’anno, una comunicazione su questo tema che personalmente non ho apprezzato, perché l’ho ritenuta potenzialmente dannosa.
La serie A è come un circolo esclusivo in cui ci sono una serie di “soci fondatori” che guardano ad ogni nuovo ingresso con molta attenzione. Se chi entra, viene presentato indebitamente come “inadeguato”, piuttosto che come “capace”, “accorto”, o “competente”, è evidente che insorga, da parte del “sistema”, una certa diffidenza nei suoi confronti, con tutto ciò che di dannoso può derivarne.
La nostra società ha un approccio semplice, quasi familiare che sicuramente favorisce l’ambientamento e la resa dei calciatori. E poi c’è un intero popolo che li accoglie e li abbraccia insieme alle loro famiglie. Quante mogli o compagne ho visto piangere andando via da Lecce. E quanti giocatori hanno fatto investimenti sul territorio in previsione di un loro ritorno.
Molti di loro hanno conosciuto il periodo di massimo successo professionale proprio nel Lecce e quando sono andati altrove hanno, invece, “deluso”. Per quanti non hanno corrisposto alle aspettative successive, c’è stato chi, invece, da Lecce si è rilanciato. Samuel Umtiti ne è l’ultimo esempio ma penso anche a Saponara, a Lapadula, a Barak, allo stesso amatissimo Massimo Coda. Il Salento e la nostra Società hanno evidentemente proprietà “taumaturgiche”.
I momenti di euforia del presidente durante l'annata e quelli di sconforto? Ed i suoi?
Saverio ha un equilibrio fuori dal comune. Nei momenti positivi non si esalta mai. Così come non si deprime in quelli negativi. È sempre vigile, anche quando le cose vanno bene, anzi, in questo caso, lo è maggiormente. Dopo la vittoria a Bergamo, durante tutta la settimana prima della partita con il Sassuolo, era molto teso. Fiutava il pericolo. Temeva l’esaltazione collettiva. Temeva che l’asticella delle aspettative si fosse alzata eccessivamente. E non sbagliava.
Allo stesso tempo, mantiene la lucidità ed il sorriso anche nei momenti di difficoltà. È la sua forza, quella di non perdere mai la speranza. “Non è finita, fino a quando non è davvero finita”.
Lo disse alla squadra dopo Lecce Siracusa in serie C (e poi vincemmo il campionato), lo ha ripetuto a tutti noi, in conferenza stampa, dopo Lecce Sampdoria. E ha avuto ragione. Per quel che riguarda me, sono molto cauta nei momenti positivi, non mi faccio mai prendere dall’entusiasmo.
Fino alla fine ho sempre un certo timore che le cose possano peggiorare. E se questo, malauguratamente accade, purtroppo non riesco ad avere l’atteggiamento costruttivo di mio marito.
Quest’anno, dopo Lecce Verona, c’è stato un momento, a fine partita, in cui ho pensato che non ci saremmo salvati. Ero così avvilita che non avevo alcuna voglia di raggiungere gli altri nella zona antistante gli spogliatoi. Saverio, nel frattempo, era sceso dai nostri giocatori.
Lo stadio si era ormai svuotato. Mi sedetti in tribuna centrale inferiore, completamente da sola, e mi scesero le lacrime senza quasi che me ne accorgessi. Sarei voluta rimanere lì tutta la notte. E lo avrei fatto se non fossero venuti a prendermi. Saverio mi rimproverò quel giorno. Disse che “noi” non potevamo permetterci debolezze, se non in privato. Aveva ragione, l’umore di una intera piazza passa anche dall’osservazione del “nostro”.
Poi è arrivata la gara di Monza e in una manciata di minuti ha ripagato tutti noi tifosi delle paure dell’ultimo periodo. Nessuno potrà mai dimenticare la gioia di quei momenti. È una di quelle partite che ogni leccese con il sangue giallorosso vorrà raccontare ai propri nipoti. A me, per poco, non veniva un infarto. E non sto scherzando. Se dovessi rappresentare un cuore che “scoppia per la gioia”, penserei al gol di Colombo al 101’. Monza-Lecce è storia.
Una domanda tecnica: quando le cose andavano male avrebbe cambiato il sistema di gioco?
(Ride) Che domande!! Avrei cambiato tutto! E, per come sono andate le cose, certamente avrei sbagliato. Sono una tifosa ardente e, come molti, con la pretesa (errata) di avere anche competenze tecniche. Però, fammi aggiungere che la bellezza del calcio risiede proprio nella sua “popolarità”, nella sua “accessibilità” che da’ modo ad ogni appassionato di sentirsi, a seconda dei casi, allenatore, DS o Presidente. E questa “presunzione” bisogna consentirla. Altrimenti il calcio diventa dogmatico.
Il presidente oltre a essere un professionista si dedica anima e cuore al Lecce. È stato definito un visionario.
“La parola visionario gli si addice, ma nel senso positivo del termine. Saverio è una persona che ha la capacità di vedere oltre. Non si accontenta del presente, è in continua pianificazione del futuro, nella sua professione, così come nella gestione del Lecce.
Il visionario, a volte, può essere anche chi si lascia trasportare da fantasie irrealizzabili, poco concrete. Le visioni di Saverio sono, invece, sempre aderenti alla realtà, attuabili e molte già attuate.
Appena divenne Presidente, dichiarò che avrebbe voluto uno stadio di soli abbonati ed è quello che, di stagione in stagione, sta progressivamente accadendo.
Tre anni fa, comprese che un certo modo malsano di fare calcio sarebbe di lì a poco cambiato, che c’erano delle bolle che sarebbero scoppiate e che, la nostra, doveva essere tra le prime società ad intraprendere un percorso virtuoso, cercando di eliminare il debito, abbassando i costi, puntando sui giovani. Oggi in tanti ci guardano come una società modello di riferimento.
Ma la sua visione più bella, quella che spero sarà ricordata, è stata di comprendere che il Lecce è un bene prezioso, “proprietà” di tutti, qualcosa che lui, insieme ai soci, deve cercare di amministrare al meglio, ma che non gli apparterrà mai completamente.
Anche per questo, Saverio non ha voluto, in nessun modo, mettere una distanza tra se e la gente, che lo chiama per nome, come se fosse un vecchio amico.
E’ il presidente che più di tutti ha spinto sull’identità territoriale, sull’appartenenza. Le nuove generazioni, le “nostre”, quelle cresciute con la questa gestione societaria, tifano ormai solo Lecce. Oggi i bambini salentini indossano la maglia giallorossa e tutto ciò, fino a qualche anno fa, era semplicemente impensabile.
È avvenuto un bellissimo “cambiamento culturale”. Perché, come afferma Saverio, “non c’è modo più bello di sentirsi salentini, se non quello di tifare per il Lecce”.