Antonio Conte: "Lecce? Ci sono le basi per il futuro. Riferimenti? Fascetti e Mazzone"
L'ex allenatore di Juventus, Chelsea, Inter e Tottenham Hotspur e della Nazionale Italiana è intervenuto rispondendo a diversi temi proposti.
Questa mattina, Antonio Conte è intervenuto presso l'UniSalento per partecipare ad un evento organizzato dalla facoltà di Giurisprudenza per il corso di laurea di Diritto e Management dello Sport e Scienze Motorie e dello Sport, con la cattedra di Giuseppe Palaia: “L’allenatore nel calcio” .
L'ex allenatore di Juventus, Chelsea, Inter e Tottenham Hotspur e della Nazionale Italiana è intervenuto rispondendo a diversi temi proposti.
Quanto è difficile entrare nello spogliatoio, affermando i propri ideali?
“La cosa più importante, oltre allo studio e alle conoscenze tattiche, è la gestione ma non solo dei giocatori ma anche dell’intero staff: tecnico, medico che reputo fondamentale. L’aspetto della comunicazione è molto importante, specie prima delle conferenze e avere persone che ti consigliano come porti è di grande aiuto. Ma non solo: c’è anche il tifoso, che bisogna ascoltare e accontentare“.
Qual è l’allenatore che ti è più rimasto per la gestione dello spogliatoio?
“Non mi piace fare classifiche. Ho avuto la fortuna d’incontrare allenatori fantastici ma soprattutto maestri di vita, abili a trasmetterti valori. Specie quando ti allontani dalla famiglia è molto importante. Nel mio percorso sicuramente mister Fascetti e Mazzone mi hanno insegnato la legge del ”bastone e della carota“. Ci sono momenti in cui bisogna essere più empatici atri in cui bisogna essere bravi a gestire l’entusiasmo, a non sottovalutare gli impegni, a rimanere sempre sul pezzo”.
Su Trapattoni e il fallimento
“Ho avuto l’onore d’incontrare Trapattoni e probabilmente se non lo avessi trovato, non sarei rimasto per 13 anni alla Juventus. Prima di andare a Torino era tutto perfetto: giocavo nella squadra della mia città ed ero con i miei amici. Poi ci sono momenti in cui bisogna fare delle scelte. Quell’anno la Juventus non giocava le coppa e durante la settimana organizzavano delle partite amichevoli internazionali. In Francia, contro il Monaco, giocavo per la prima volta titolare e perdemmo per un mio errore. Quello sbaglio lo ricorderò per sempre, fu un mio fallimento. Una parte del percorso. Lì capì tante cose perché quel momento mi fortificò. Trapattoni mi aiuto tantissimo. Il primo anno a Torino non giocai molto e i primi mesi furono difficili. Fu un rischio perché uscivo dalla zona di confort della mia città. Spesso mi chiedevo se fosse la scelta giusta ma non volevo tornare da sconfitto. Questo mi ha motivato tantissimo a continuare, a non darmi per vinto. L’anno successivo le cose migliorarono e la carriera prese una piaga ben diversa. Sono riuscito ad accettare la paura a non farmi condizionare. Nei momenti di scelte non bisogna accettare la zona di comfort, bisogna accettare la sfida, mettendosi in gioco con la consapevolezza che si può fallire. Ma il fallimento è solo una parte del percorso”.
La famiglia
“Il lavoro mi porta a stare spesso fuori casa. Sicuramente il rapporto tra mia moglie e mia figlia è molto solido e di questo ne vado fiero perché è importante il confronto e il dialogo. Con loro sono molto tranquillo basta che non mi fanno arrabbiare“.
Quanto è importante per te la comunicazione?
“Oggi la comunicazione è diventata più importante dei fatti. Ci sono alcuni che attraverso essa riescono a sviare. Noi allenatori abbiamo una conferenza prima della partita e una dopo non solo ai media. Credo che il momento più importante sia quello con i componenti dello staff. Devi saper trasmettere qualcosa: è meglio una brutta verità che una bugia. Sono sempre stato diretto. Quando ero calciatore odiavo che mi venissero dette cose non vere. Alla lunga la verità paga sempre ed è questo ciò che più conta. Più la comunicazione è diretta e più ha effetti, sia nel bene che nel male. L’allenatore è un leader ed è in questi momenti che deve essere abile a gestire lo spogliatoio. Se il capitano sbaglia va fatto notare, indipendentemente dal ruolo che occupa. Questo aumenta la credibilità ma come ci vuole tanto per acquisirla basta poco per perderla“.
Sul ruolo dello psicologo
“È un personaggio che nel mio team, quando c’è la possibilità, non faccio mai mancare. È un ruolo particolare, a volte non di facile accettazione, specie da parte dei calciatori, ma se può essere d’aiuto per risolvere un problema è di grande aiuto“.
Quale voto ti dai da calciatore e allenatore?
”Come calciatore mi sono dato 8. Non ero un fenomeno ma tramite il lavoro e la perseveranza sono arrivato a buoni livelli. Non mi aspettavo di giocare per così tanto tempo nella Juventus o di arrivare in Nazionale. La mia prestazione la dovevo fare tramite corsa, qualità d’inserimento, sacrificio. Da allenatore, invece, mi riconosco quel talento che non avevo da giocatore . Sentivo una forte vocazione per l’insegnamento e allenare, dopo il ritiro, era quello che più volevo fare. A inizio carriera dichiarai che probabilmente se non avessi allenato nel breve periodo un top club avrei subito smesso. Credevo tanto in me stesso ed ero convinto che prima o poi avrei raggiunto i miei obiettivi“.
Quanto è importante la professionalità e la managerialità per coloro che studiano?
“Per qualsiasi lavoro la parola chiave è la passione. È ciò che muove tutto, ciò che ti permette di ragionare per raggiungere l’eccellenza. È quello che ti permette di superare i propri limiti.“
Su Djokovic
”Ho avuto il piacere d’incontralo. Ho assistito alle Finals di Torino la scorsa settimana. È stato emozionante, un campione assoluto. Quando hai di fronte questo tipo di persone, ti trasmettono tutto il loro carisma e la loro passione.”
Quanto tempo ti dai al riposo?
“Dopo tanti anni, riuscire ad avere un periodo di pausa è importante perché ti permette di recuperare, di guardarti attorno. Le scomparse di Mihajlovic e Vialli mi hanno profondamente segnato. Spesso non viviamo il presente come vorremmo e invece va goduto a pieno in ogni momento.”
C’è qualche errore della tua carriera di cui ti sei pentito?
”Probabilmente in alcuni casi sarei dovuto essere più paziente, agendo con meno istintività. Nel mio percorso cerco di analizzarmi per cercare di migliorare come persona.”
Quanto è stato difficile vincere in Inghilterra con le tue idee?
”Le esperienze all’estero ti aiutano a crescere. Quando arrivi in un paese straniero devi essere cosciente di trovare culture e metodi di lavoro diversi. La prima cosa che mi colpì fu l’aspetto alimentare. Ho avuto l’accortezza di infondere le mie idee senza impormi, cercando di trovare un punto d’incontro con tutti. In Inghilterra il calcio è vissuto diversamente, specie dal punto di vista emotivo: c’è poco tatticismo difensivo. È divertente vederlo perché c‘è molto spettacolo da un punto di vista offensivo. Si ricerca molto lo spettacolo; in Italia invece c‘è molta più tattica ed è per questo che diventa un po’ più noioso da vedere. C’è una differenza netta. Ma, indipendentemente da questo, per un calciatore il passaggio in Italia è molto importante per crescere ed essere molto più preparato”.
Sul Lecce
“È una società che lavora seriamente, a partire dal Presidente fino ai calciatori. Sono contento per D’Aversa perché, oltre a essere un amico, è un grande allenatore. Ho visto un gruppo di ragazzi entusiasti e competenti. Ci sono buone basi per il futuro”.
In aula erano presenti anche altri ex calciatori e amici di Conte, venuti per assistere all'evento odierno. Tra di loro anche l'ex difensore di Lecce e Bari Gigi Garzya.