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L’ufficialità della consegna dello scettro di nuovo allenatore del Lecce era nell’aria da diverso tempo. Si è fatta attendere forse un po' troppo (ma, si sa, le tempistiche degli accordi fra uomini di calcio possono subire pieghe inaspettate e allungamenti temporali imprevisti) però alla fine è giunta, confermando i sentori della vigilia nonché l’intenzione della società di Via Costadura di identificare sempre e solo lui come fido timoniere: parliamo di Roberto D’Aversa, il quale sarà il coach dell’organico giallorosso che si appresterà ad affrontare il secondo anno consecutivo in Serie A e che cercherà di bissare una salvezza che costituirebbe un traguardo storico per tutto il Salento. Per il mister abruzzese è previsto un anno di contratto con opzione di rinnovo da esercitarsi in caso di salvezza. Formano lo staff tecnico a sua disposizione l’allenatore in seconda Andrea Tarozzi (suo fido alleato), il collaboratore tecnico Salvatore Sullo, il collaboratore tecnico e match analyst Simone Greco (salentino, nativo di San Donato), il preparatore atletico Danilo Massi, il preparatore atletico e recupero infortunati Giovanni De Luca ed il preparatore dei portieri Luigi Sassanelli.

L'andamento della carriera da allenatore di Roberto D'Aversa, con tutte le statistiche complete a corredo (fonte: Transfermarkt)


E dire che il Tacco d’Italia e la vita del coach nativo di Stoccarda (la città tedesca in cui ha sede la Porsche, giusto per far capire quali aspettative vi si respirano lì) sono legati a doppio filo da un intreccio che, con un andamento sinusoidale, si sfalda e si ritesse fino a trovare l’attuale step proprio in casa della società di Saverio Sticchi Damiani e soci. E ci auguriamo che tale intreccio sia solido, durevole e costellato di soddisfazioni. Inframezzate e incastonate in questo tessuto connettivo, come pepite inaspettate – come avrete modo di leggere – si distribuiranno diverse ‘sliding doors’ che porteranno il coach abruzzese a entrare in contatto, talvolta qui, altre volte lì, con diverse personalità vicine – nel passato, presente e futuro – all’ambiente calcistico giallorosso.

Il primo capitolo di questo ‘legame’ è datato luglio 1996: Roberto, da calciatore, passa in prestito dal Monza (team detentore del suo cartellino) al Casarano, in Serie C1, per forte volere del DS di allora del club salentino, un certo Pantaleo Corvino. Sarà una prima parte della stagione non invidiabile: non riesce a raggiungere i 500 minuti sul campo – 6 i gettoni di presenza totalizzati - e, partito da titolare, forse per colpa di qualche ammonizione di troppo ma soprattutto per un rendimento non eccelso (escluso l’unico gol realizzato, ad Ischia, su assist di Totò Nobile), sparisce dai radar e a inizio ottobre non vede più il rettangolo verde, tornando alla base durante il mercato di riparazione invernale.

Il secondo passaggio in terra salentina avviene all’inizio della stagione agonistica 2009/2010, quando si trasferisce in Serie B al Gallipoli, richiesto da Giuseppe Giannini (un altro ex Lecce) per affrontare un campionato dove gli uomini di esperienza sono altamente ricercati. In un’annata difficile, soprattutto a causa dei problemi finanziari del club ionico, D’Aversa disputa 12 gare in maglia giallorossa, mancando la convocazione nel derby contro il Lecce del 24 ottobre 2009 ma mettendo a segno una rete proprio al Via Del Mare contro il Modena di una vecchia conoscenza del calcio salentino (Alex Pinardi), realizzando la marcatura decisiva per la vittoria finale per 1-0. L’esperienza a Gallipoli si chiude anzitempo per le note e insopportabili difficoltà economiche della sua società, con il passaggio alla Triestina.

Ora, a metà 2023, l’approdo al Lecce, ovvero la sua terza esperienza in un lembo della nazione che tanto gli è stato caro e che molto si aspetta, ora, da lui. 

La genesi della carriera extrasportiva di Roberto D’Aversa trova luogo all’inizio della stagione 2012-2013: il centrocampista abruzzese ha da poco appeso gli scarpini al chiodo, avendo chiuso l’esperienza da calciatore attivo mentre si trova nell’organico della Virtus Lanciano. E’ in quel club che decide di restare e di passare all’organigramma effettivo societario in qualità di direttore tecnico. E lì detiene la responsabilità di un reparto che vede come head coach un certo Marco Baroni. Il risultato finale è assolutamente positivo: un 10° posto che identifica i lancianesi come la rivelazione assoluta del campionato.

A partire dall’annata successiva, il budget societario si ridimensiona e così D’Aversa stesso diventa l’allenatore della Virtus Lanciano, succedendo proprio a Baroni e anticipando di 10 anni esatti quanto accade proprio ai giorni nostri. Il suo vice è Andrea Tarozzi. Il debutto in panchina di D'Aversa è vincente: è un 1-0 rifilato all’Alessandria. Nella formazione della sua squadra ci sono due vecchie conoscenze del calcio leccese come Nunzella e Stefano Ferrario, mentre in quella avversaria è presente un certo Michele Marconi. A fine anno è nuovamente salvezza: 14° posto e addirittura un saldo reti realizzate/reti subite in positivo.

La stagione 2015/2016 inizia, a Lanciano, sempre con D’Aversa in panchina, ma dopo un avvio molto positivo (10 punti ottenuti nei primi 10 incontri) e il costante impiego sul rettangolo verde di un tale Federico Di Francesco (oltre ad altri due ex leccesi come Guido Marilungo e Manuel Giandonato), l’epilogo è amaro: a gennaio, all’indomani della ventiquattresima giornata – debacle interna con il Trapani, vittorioso per 0-3, e penultimo posto in graduatoria – Roberto viene sollevato dal suo incarico e rimpiazzato da Primo Maragliulo, altro salentino verace.

Nel frattempo, D’Aversa medita, metabolizza lo scotto dell’esonero, continua a formarsi ulteriormente e torna in pista dopo quasi un anno: su di lui decide di scommettere il Parma, il quale lo sceglie al posto di Morrone (a sua volta traghettatore dopo il benservito dato a Luigi Apolloni) e gli affida una barca quasi alla deriva poco prima del girone di ritorno. 

Forse è un segno del destino che la sua nomina come allenatore del Parma giunga nello stesso giorno in cui uno dei suoi migliori amici nel calcio sia sulle prime pagine di tutti i quotidiani. D’Aversa ha infatti un rapporto speciale con Antonio Conte. Ed ecco un altro ex Lecce che fa capolino nella sua vita.

La scelta di Roberto in Emilia si rivela azzeccata: dal 17° posto in Lega Pro, quasi ad un passo da una retrocessione fallimentare, compie una scalata incredibile, arrivando fino al secondo posto e poi vincendo i playoff promozione in finale, sconfiggendo l’Alessandria (ovvero la sua prima squadra da avversario in qualità di coach) grazie, fra gli altri, anche a Manuel Scavone, autore di uno dei due gol decisivi. Quel Parma si schiera con un 4-3-3 molto moderno e dinamico, con gli esterni parecchio larghi in fase offensiva per permettere alla squadra di sfruttare l’ampiezza, un centrocampo con un regista basso e una difesa abbastanza racchiusa centralmente, con i terzini più portati ad appoggiare l’azione offensiva piuttosto che alle sovrapposizioni. D’Aversa cura inoltre con attenzione quasi maniacale i calci piazzati, altra arma che si rivela decisiva.

La conferma è scontatissima anche per l’annata 2017/2018. Il Parma, da neopromosso e con i bookmakers a sfavore, inizia lentamente ma inesorabilmente un viaggio incredibile. Eppure, gli albori non sono per nulla confortanti: una sola vittoria nelle prime nove partite trasforma rapidamente i lamenti iniziali in una vera e propria contestazione che arriva al suo apice nel gennaio del 2018, con il Parma fuori dalla zona playoff e Roberto D’Aversa al centro di attacchi sempre più duri da parte del tifo caldo gialloblù. Per fortuna (della storia del calcio, in un certo qual modo, e poi capirete il perché…) in quel periodo, dove chiunque avrebbe freddato Roberto D’Aversa nella pubblica piazza, ci sono diverse eccezioni a suo sostegno, e tutte importantissime. Innanzitutto la squadra, compattissima e tutta stretta al fianco del suo allenatore. Ci sono i principali giornalisti locali che, pur non riservando le critiche necessarie a tenere sempre alta la concentrazione, vedono e riconoscono il grande lavoro svolto da Roberto e dai suoi. C’è poi la società, con il vice presidente Pietro Pizzarotti che non solo conferma il sostegno e il pieno appoggio a D’Aversa ma che, proprio nel momento di maggiore difficoltà, decide di rinnovargli il contratto per la stagione successiva. ‘Se fosse per me a D’Aversa farei un contratto di dieci anni!’, dichiara la seconda carica dell’organigramma del Parma Calcio. E’ il plot twist decisivo: inizia la cavalcata trionfale e al suo termine i gialloblu emiliani – grazie anche ad un reparto difensivo coriaceo e impenetrabile – chiudono il torneo in seconda posizione e ritornano nell’olimpo del calcio italiano. E il merito è tutto di Roberto: fino a quel momento, nessuna squadra nella storia del calcio italiano era mai riuscita sul campo a fare il triplo salto dalla serie D alla A.

Così, ai nastri di partenza del massimo torneo nostrano per la stagione 2018/2019, ci sono anche gli uomini di D’Aversa. Ma alcuni sostenitori sono ancora molto, molto scettici su di lui, il quale respinge le accuse al mittente mettendo in campo intelligenza e pragmatismo. Il centrocampo del Parma in particolare è probabilmente, da un punto di vista tecnico, il più debole di tutto il campionato. Occorre allora limitare al minimo le qualità dell’avversario ed esaltare le proprie che sono poi corsa, agonismo, attenzione tattica e sacrificio. L’obiettivo è dichiarato: fare densità nella propria metà campo e avere più spazio possibile in quella avversaria. Gli uomini per questo tipo di gioco sono perfetti. Il Parma diventa così una delle squadre più organizzate di tutta la Serie A. Perché quando tutti sanno esattamente cosa fare in campo, quando i compiti sono chiari, quando sono alla portata dei giocatori e quando tutti, comprese le seconde linee, sanno entrare e fare il loro dovere, si ha a che fare con un’organizzazione di primo livello. E’ una complessa ma efficace intelaiatura che stupisce tutti a larghi tratti – soprattutto durante il picco raggiunto con l’occupazione dell’11° posto a girone di ritorno inoltrato – grazie particolarmente all’incontenibile duo Gervinho-Inglese, le performances dell’esperto Bruno Alves e di un giovanissimo Dimarco. Una leggera flessione finale non inficia la conquista della salvezza, ottenuta con 41 punti in 38 giornate.

L’anno successivo, è ancora D’aversalandia. Il suo team conquista ampia risonanza nazionale, soprattutto grazie ad una stupefacente sesta posizione mantenuta a fine girone d’andata e alle prestazioni fuori scala di gente come Hernani, Cornelius e Darmian, oltre che l’apporto solido di Kastriot Dermaku e l’exploit impressionante di Dejan Kulusevski, un giocatore all'epoca sconosciuto, proveniente dalla Primavera dell'Atalanta, ma determinante come pochi. D'Aversa, in quest'occasione, dimostra di saper lavorare con i giovani, permettendo ad un diamante grezzo di perfezionarsi e venire fuori tra i professionisti: molti dei 49 punti conquistati sono merito delle giocate dell'attuale centrocampista del Tottenham, un ragazzo che probabilmente solo sotto la guida di Roberto si è espresso con quella continuità. 'In maniera semplice, ma anche coerente e determinata, il Parma aspetta basso nella propria trequarti campo gli avversari, puntando tutte le proprie fiches offensive sulle ripartenze lunghe incentrate sulla velocità di Biabiany e, soprattutto, di Gervinho, e sul lavoro sporco di Inglese. Il Parma concede più che volentieri il pallone agli avversari e se non può affidarsi ai contrattacchi in campo aperto, preferisce lanciare lungo e cercare le sponde di Inglese e la velocità di Gervinho. Insomma, il Parma gioca di fatto come una vecchia squadra da ‘difesa e contropiede’’, ammette L’Ultimo Uomo. Ad un certo punto, però, arriva il Covid e con esso le stesse problematiche che, in quel girone balordo, fronteggia il Lecce: rosa non ampissima e perdita della bussola e del giusto orientamento mentale. Il campionato si chiude, e lo ricordiamo tutti, proprio con Lecce-Parma: la sfida termina 3-4. Il baratro della Serie B si spalanca inevitabilmente per i salentini, mentre i parmensi si godono il quattordicesimo successo del torneo e l’11° posto finale.

L’interesse verso Roberto D’Aversa dei vari club è praticamente al culmine. Moltissimi presidenti lo vorrebbero sulle proprie panchine e, dato che il contratto con il Parma è sostanzialmente scaduto, l’allenatore pescarese decide di attendere la chance giusta, probabilmente la più remunerativa della sua vita. E sembra proprio che quell'opportunità arrivi, di botto, dall’Egitto: il facoltoso proprietario del Pyramids, un magnate di Dubai, dà mandato ai suoi intermediari Joseph Ghapios e Antonio Cardoso di stilare per lui un contratto da 3 milioni netti a stagione (per una durata complessiva di 3 anni) e un progetto tecnico ambizioso. Dopo il primo incontro via web, D’Aversa declina l’offerta: è troppo forte il richiamo della Serie A. Su di lui, stando alle cronache, vengono avviati sondaggi da parte di Crotone e Fiorentina, ma la voglia di tornare a ‘casa’ è troppo forte. E infatti è nuovamente il Parma a cercarlo - e trovarlo - nel disperato tentativo di invertire la rotta (negativa) tracciata da Fabio Liverani. A gennaio 2021 accetta di entrare in corsa. Nulla da fare, però: la realtà dei fatti vede il contrasto fra il suo disperato tentativo di fare punti, con un modulo 4-3-1-2 a rombo, e una rosa probabilmente non all’altezza della situazione. Il suo Parma conquista 7 punti in 10 partite, poi crolla rovinosamente e sotto i colpi mortali di 9 sconfitte consecutive saluta la Serie A da ultima in graduatoria.

Per la nuova stagione, comunque, c’è un club volenteroso ad averlo in panca fin dall’inizio del percorso: è la Sampdoria - reduce dall’addio di Claudio Ranieri - la quale gli fa firmare un contratto di due anni. I progetti iniziali sembrano essere forieri di qualcosa di più di un campionato tranquillo, invece la squadra fa fatica ad ingranare. La qualità dell’organico lo ‘costringe’ ad adottare un modulo differente da quello professato dal suo credo iniziale, ovvero un 4-4-2 con una disposizione particolare: la costruzione della manovra inizia quasi sempre con il lancio lungo e mai dai due difensori, impegnati soprattutto a coprire in marcatura preventiva. I terzini salgono molto, spingendo le mezzali in avanti a ridosso degli attaccanti. In fase di non possesso, la squadra fa del collettivo il suo punto di forza: tutti, ad eccezione del portiere e della prima punta, ripiegano dietro la linea della palla, cercando di coprire ogni spazio, soprattutto nelle zone centrali, spingendo gli avversari sull’esterno. I giocatori più avanzati apportano il primo pressing (solitamente la prima punta e la seconda) mentre le mezzali e l’altro attaccante ripiegano verso il centro. Il baricentro basso della squadra tende a tenere molto unite le linee: la linea difensiva è caratterizzata da una grande aggressività nelle marcature e da continui raddoppi energici. In caso di transizione negativa la Sampdoria non effettua un pressing feroce e immediato per il recupero, ma preferisce attendere e ricompattarsi dietro, provando a chiudere tutte le linee di passaggio. In caso di transizione positiva invece, la ricerca della profondità rapida è la soluzione quasi automatica, indirizzata verso la punta centrale. Concretamente, quella di D’Aversa è una compagine abile nelle ripartenze, con due attaccanti rapidi che si muovono tanto e aprono la difesa, sfruttando la verticalità immediata. La difesa, però, non è particolarmente attenta nelle marcature (ma il limite è nei suoi interpreti). Con poca qualità in mezzo al campo, poi, si ha una squadra che va in difficoltà se deve fare la partita. Tutto ciò, unito al fatto che i blucerchiati hanno appena quattro organici sotto di loro, fa terminare anzitempo l’era di D’Aversa in Liguria, ritenuta non soddisfacente. A sostituirlo è Giampaolo (ironia della sorte, uno dei nomi venuti alla ribalta per il casting del nuovo allenatore del Lecce per l’annata 2023/2024), il quale riesce a portare i suoi alla conquista della permanenza in Serie A. 

E’ da metà gennaio 2022 che Roberto D’Aversa è fermo: dopo 18 mesi di ‘sosta forzata’, per lui arriva il momento di riaccendere i motori e di dare gas, prepotentemente, come head coach del Lecce.

Le statistiche della carriera di Roberto D’Aversa meritano più di una considerazione: su 267 partite, il nuovo tecnico alle dipendenze del club giallorosso ne ha vinte 89 (il 33,33% del totale), pareggiate 70 e perse 108. In un raffronto (meramente numerico, sia chiaro) con Baroni, si scopre che il tecnico toscano, suo predecessore al Lecce, ha prevalso nel 39,71% delle volte, ma con molti più match in cascina (627 per il coach fiorentino, 267 – appunto – per D’Aversa). Inoltre, la media punti ottenuta da D’Aversa (1,26 per gara) è più bassa, in termini assoluti, di quella del coach toscano (1,47 per match). La preponderanza dei dati però si ribalta se si considerano solo le esperienze nella massima serie a referto per i due allenatori: D’Aversa viaggia ad una media di 0,98 punti a partita (ottenuti con 30 vittorie e 28 pareggi su 120 match), mentre Baroni si ‘ferma’ a 0,75 (raggiunti con 12 vittorie e 18 pareggi in 72 sfide complessive).

Il profilo di Roberto D’Aversa disponibile in Football Manager 2023 (ebbene si, il videogame manageriale sul calcio per eccellenza contempla anche le analisi sugli allenatori) mostra come la sua impronta tattica prediliga un contropiede fluido, uno stile di gioco piuttosto diretto, un equilibrio ben definito nella mentalità di gioco e una marcatura a uomo piuttosto che a zona. Accanto all’eventualità del modulo 4-4-2, è più avvezzo (come accaduto spesso, non solo di recente ma anche per larghi tratti della sua carriera da trainer) ad un 4-3-3 con disposizione larga e mediano tutto cuore e polmoni in cabina di regia. Non è un allenatore che fa partire la squadra con palla a terra dalla difesa (quindi, non predilige la costruzione dal basso) e non usa un particolare pressing per contrattaccare, ma si lancia piuttosto in dei ribaltamenti di fronte nel momento in cui la sua squadra ottiene il possesso palla dagli avversari. 

Le caratteristiche e le peculiarità di Roberto D'Aversa secondo Foootball Manager 2023. Notare come sia la fase difensiva il suo principale punto di forza, mentre la gestione della forma fisica - se non corroborata dall'attività dei collaboratori tecnici e dei preparatori - può costituire un fattore di rischio durante il periodo della sua gestione


Di personalità fortemente equilibrata, D’Aversa è molto attento alla fase difensiva ed è un coach che punta molto sulla valorizzazione dei giovani. Per lui, la fase tattica ha prevalenza su quella tecnica. Determinato, fautore di un certo grado di disciplina, il mister nato a Stoccarda dispone di un ventaglio di conoscenze tattiche tutto sommato ampio. I suoi punti deboli possono essere riscontrati nel giocare poco efficacemente con un attacco organizzato, nel far rincorrere ai suoi giocatori il punto di ottimo tecnico sulla forma fisica e la sua adattabilità a nuovi contesti, non ritenuta così importante da poter raggiungere risultati ampiamente soddisfacenti nel breve termine. Non è un traghettatore, quindi, quanto piuttosto un uomo di calcio che ha bisogno di un percorso lavorativo e di un ciclo di attività a medio/lungo termine per poter mostrare le sue peculiarità e la sua forza vincente. A livello mentale, D’Aversa riesce a mettere in campo tutte le sue conoscenze nel campo psicologico, sebbene non sia un allenatore rinomato universalmente per il suo atteggiamento mentale a primo impatto, quanto invece possa esserlo per il suo lavoro ‘di gestione’ (soprattutto con il suo staff), ampiamente ritenuto all’altezza delle aspettative. Dispone, inoltre, di un patentino Pro continentale e gode di una reputazione nazionale rilevante.

Nel confronto (virtuale) con Baroni, Roberto D’Aversa sembra essere meno difensivista del precedente allenatore del Lecce e più abile a coltivare rapporti proficui con il suo staff. Più ‘forte’ sul comparto tecnico/tattico, D’Aversa cede il passo al collega toscano in fatto di disciplina e di motivazione personale, ma è più abile a trarre un giudizio più attendibile sui suoi giocatori e a portare avanti le negoziazioni con maggiore efficacia.

Il confronto fra Marco Baroni (in verde) e Roberto D'Aversa (in azzurro) nella comparazione dei valori delle loro caratteristiche personali, attribuite da Football Manager 2023. ‘Ai punti’, come si direbbe in gergo pugilistico, vincerebbe il tecnico toscano per 9 a 8, ma notare come il coach abruzzese prevalga - ed è notabile cromaticamente in maniera lampante in alcune voci specifiche come quella della tattica, della tecnica e del giudizio potenziale del proprio organico


Il nostro Davide Mandorino (che ringrazio pubblicamente, ancora una volta, per il suo preziosissimo contributo e per il suo ‘occhio clinico’) ha avuto modo di visionare diversi match nei quali D’Aversa è stato presente come allenatore. Secondo il suo parere, ‘credo che la scelta di D’Aversa per il post Baroni sia davvero coerente con la linea già tracciata. Sinceramente all'inizio quando è cominciato a circolare il suo nome non ero pienamente convinto. Avendolo seguito poco mi rifacevo alle voci che si potevano ascoltare su di lui, ovvero che fosse tutto ‘catenaccio e contropiede’, ma incuriosito sono voluto andare oltre e ho guardato qualche partita delle stagioni avute a Parma. Premettendo che i valori di quella squadra fossero importanti, ho visto la capacità del mister di variare: variare sistema di gioco (cosa che però avverrà molto di rado a Lecce), variare le idee di gioco in base agli interpreti e agli avversari, variare l'approccio alla gara. I principi direi che siano abbastanza delineati. Si parte dal concetto di fase difendente ben organizzata, dove la squadra tende a tutelare la zona centrale e a mandare gli avversari sugli esterni. Ma la cosa che mi ha incuriosito è che anche quel Parma 2019-2020 andava a prendere alti gli avversari maggiormente in situazioni di rimessa dal fondo o laterali basse, cercando l'1 contro 1 e tenendo la linea difensiva alta. Una volta subito il superamento della prima linea di pressione, si compatta e stringe creando densità al centro, quindi passa da una marcatura a uomo nella zona a una marcatura a zona con chiusura delle linee di passaggio. Principio offensivo cardine è l'attacco diretto a seguito di transizione positiva, quindi gioca molto in verticale, ma è tutto ragionato. Praticamente sono studiati gli smarcamenti preventivi di 1/2 giocatori sui quali verrà effettuato l'attacco diretto in caso di recupero del pallone. Ma anche qui, questo non è avvenuto sempre. In base alla qualità tende anche di sviluppare un attacco manovrato, fatto di possesso palla e gioco posizionale. Anche il rinvio del portiere non è lasciato al caso. In occasione di pressione alta avversaria su palla inattiva (ripresa dal fondo), la squadra cerca di attrarre l'avversario per andare successivamente in verticale o sulla prima punta strutturata oppure sugli attaccanti veloci che attaccano la profondità. Lui adatta il gioco alla prima punta a disposizione. Se ha quella strutturata cerca la sponda, senza di quella punta direttamente la profondità con i giocatori veloci davanti’.

Il modulo di gioco preferito da D’Aversa è un classico 4-3-3, che si trasforma in un 4-5-1 in fase di non possesso, con gli attaccanti esterni che si abbassano sulla linea mediana per coprire i terzini. La sua manovra punta a cercare subito la verticalizzazione rapida o il lancio lungo sulla prima punta, brava a proteggere palla e chiamare l’inserimento. Il suo modo di giocare è fatto di poco possesso palla, costruzione della manovra non molto elaborata e pragmatica e tanta ricerca della profondità.

L’augurio è quello di rivedere a Lecce lo stesso calcio perpetrato al climax della carriera di D’Aversa, ovvero quello espresso al Parma della stagione 2019/2020 (LINK 4). Quella squadra si presentava in campo con un 4-3-3 che variava disposizione dalla fase di non possesso alla fase di possesso, passando concretamente da un 4-1-4-1 a un 2-3-5.

Quando il Parma si trovava in possesso del pallone, tendenzialmente ricercava sempre la profondità grazie alla fisicità della propria punta centrale. Di fatto, la costruzione dell’azione era fortemente diretta, mediante la quale i due difensori centrali, superando due linee avversarie, cercavano con palloni lunghi il proprio attaccante, con l’auspicio che quest’ultimo riuscisse a trovare i suoi colleghi di reparto con un gioco di sponde, con l’obiettivo di dar seguito velocemente ad un’azione pericolosa negli ultimi 20-30 metri. La situazione più frequente era quella di un 5 contro 6 e gli uomini più sollecitati erano senza dubbio la punta centrale - destinataria del passaggio a lunga gittata dalla difesa - i due esterni d’attacco e le due mezzali. Nella maggioranza dei casi, il centravanti cercava di dialogare con l’esterno corrispondente, che si accentrava dalla sua posizione originaria per raccogliere il suggerimento del compagno. La verticalità tra i due era quasi un leit motiv, specialmente nella prima frazione di gioco, dando spazio ad un approccio basato su scarso possesso palla, pragmatismo nella costruzione e finalizzazione dell’azione con una ricerca perpetua della profondità.

Nell’amministrare il gioco nella fase di possesso, i due centrali di difesa non partecipavano attivamente al controllo della palla ma erano destinati a compiti di copertura e di marcatura preventiva. In mezzo al campo, i due terzini stringevano la loro posizione andando a formare la linea dei tre insieme al centrocampista centrale, mentre davanti, insieme ai tre uomini più offensivi, vi si affiancavano le due mezzali. Con questa disposizione, i terzini non avevano specifiche propensioni offensive; parallelamente, quasi la totalità della manovra d’attacco era ad appannaggio di cinque uomini, dove uno dei maggiori protagonisti era ovviamente l’attaccante centrale, fondamentale punto di riferimento per i suoi compagni e fulcro dei successivi sviluppi offensivi. Nulla, comunque, suggeriva la messa in pratica di collaborazioni di catena mezzala-terzino in fase offensiva.

Il 5 contro 6 descritto pocanzi. Notare la posizione dei due attaccanti esterni: uno di essi accorcia verso il centravanti per verificare se è possibile ricevere lo scarico della palla e avviare la verticalità, un vero e proprio mantra mentale per tentare di imbastire un attacco rapido (fonte: Assoanalisti.it)


Quando il possesso era in favore degli avversari, la squadra di D’Aversa mostrava tutte le sue peculiarità: grande spirito di sacrificio ed abnegazione che identificavano nel collettivo una solida identità. La partecipazione alla fase era dunque assoluta da parte di tutta la squadra ed era evidente per tutta la durata del match la percezione di una grande solidità difensiva. La copertura degli spazi aveva il focus di soffocare il centro del gioco impedendo quanto più possibile le linee di passaggio per via centrale, impedendo i disimpegni per vie centrali per indirizzare, piuttosto, le giocate verso le corsie laterali: ad uscire in marcatura sul terzino avversario era quasi sempre la mezzala, mentre l’attaccante esterno e l’altra mezzala andavano in marcatura dei due centrocampisti avversari. Allo stesso tempo, il centrocampista centrale andava in marcatura sul trequartista (o mezzala offensiva) opponente e quando la sfera passava all’esterno d’attacco avversario, allora il terzino di quella fascia usciva in marcatura, con l’ovvio arretramento degli uomini citati in precedenza e l’attuazione delle dovute rotazioni. Tutto ciò dava luogo, come specificato prima, al 4-1-4-1, segnale di una enorme compartecipazione collettiva alla fase di non possesso. 

Nell'immagine, è evidente come, in fase di non possesso, la squadra di D'Aversa cerchi di fare densità in mezzo al campo e preferire il gioco sulle fasce piuttosto che dare spazio a inserimenti centrali (fonte: Assoanalisti.it)


Solitamente il pacchetto arretrato lavorava su due linee di copertura a sostegno del marcatore di turno, lasciando sovente la profondità avversaria ed il conseguente gioco sulle fasce, quasi a voler indirizzare la manovra avversaria in quella porzione di campo. L’intero baricentro della squadra risultava basso, compensato però da una grande aggressività nelle uscite in marcatura, soprattutto compito dei centrali difensivi. Le rotazioni in marcatura delle linee di difesa e centrocampo rappresentavano un meccanismo ben oliato e sinfonicamente efficace nel ribattere il possesso e le verticalizzazioni avversarie. L’atteggiamento aggressivo in fase difensiva si traduceva anche nei continui raddoppi di marcatura, in misura particolare sulle fasce laterali. Ad ogni modo, non c’erano tentativi di ri-aggressione e riconquista immediata del possesso.

La fase di non possesso del Parma 2019/2020, visibile attraverso gli attori in campo. Si nota come lo schieramento diventa un 4-1-4-1, con il mediano che si abbassa quasi sulla linea dei difensori e con i centrocampisti che restano più compatti sulla porzione centrale del campo (fonte: Assoanalisti.it)

Così come per il gioco di Baroni, uno dei giocatori fondamentali nella fase di ripiegamento era il mediano davanti alla difesa: si faceva carico delle rotazioni con i difensori centrali nel momento in cui uscivano sul portatore palla o sul ricevente, ma soprattutto il suo senso della posizione doveva costituire un plus nel recupero delle seconde palle nel proprio raggio di azione e nell’intercettazione dei palloni filtranti che minacciavano la propria retroguardia. In definitiva la sua posizione a ridosso della linea di difesa garantiva equilibrio e solidità, ma soprattutto facilitava i compiti di marcatura e di copertura dei suoi compagni di reparto e, di conseguenza, del resto del suo team.

In quest'immagine, si nota l'organizzazione difensiva solida (7 uomini nell'area di rigore, disposti in linea e sfalsati per tutelare la copertura del portatore di palla) e la presenza del mediano subito fuori dall'area (fonte: Ultimo Uomo)


Quel che è certo è che le squadre di D’Aversa possono provare a muovere i propri giocatori in fase di possesso palla per ottenere una disposizione spaziale capace di generare vantaggi in termini di superiorità numerica, posizionale o anche solo tecnica nei confronti degli avversari. Questo tipo di approccio prevede però l’avere a disposizione vari giocatori multidimensionali, in grado di saper interpretare in modo corretto il loro ruolo occupando, però, diverse zone di campo.

Un frame della sfida Parma-Lazio del campionato 2019/2020. Qui, i ducali allargavano sempre le due mezzali, Hernani e Kurtic, e stringevano ai fianchi di Lucas Leiva i due esterni, Caprari e Kucka, cercando di ottenere vantaggi posizionali (fonte: Ultimo Uomo)


Ma come cambierà il Lecce con Roberto D’Aversa al timone? Non si stravolgerà più di tanto: si mirerà a rintuzzare gli strali offensivi avversari con la compattezza in fase di ripiegamento (e qui il lavoro di Baroni già in cascina darà sicuramente una grossa mano agli interpreti giallorossi) e con l’arretramento progressivo di tutta la squadra – reparto avanzato compreso – per restare dietro la linea della palla; in fase offensiva, vedremo tanti lanci dalle retrovie e rapidissimi cambi di gioco per cercare di innescare in profondità la punta centrale oppure per fare in modo che il centravanti diventi un vero e proprio ‘centro boa’ in grado di mantenere il possesso e cederlo agli attaccanti esterni nel tentativo di aggirare le marcature, creare spazio per inserimenti oppure per lanciarsi verso la porta avversaria nel più breve tempo possibile.

Roberto D’Aversa è meticoloso, sa gestire il gruppo dando certezze e professionalità. Di lui, Il Fatto Quotidiano diede, una volta, una visione eterea, quasi senza tempo, memore di un calcio i cui valori, di recente, non sembrano esserci più: ‘Quello di D’Aversa è il lavoro paziente e silenzioso di un artigiano sapiente, come un falegname chiuso nella propria officina a conduzione familiare che, giorno dopo giorno, vede la sua creatura prendere forma e delinearsi sempre più nitidamente. La nemesi di una società e di un mondo del calcio così assillati dal concetto di tutto e subito, di programmazione come perdita di tempo, di attesa e maturazione come processi fin troppo ambiziosi, perfino dannosi, rispetto al risultatismo immediato ad ogni costo. Nonostante non goda di grande stampa e, anzi, sembri apparire come uno di quei character da film dei fratelli Coen dove lavorare in provincia significa sottile malinconia, conformismo e una buona porzione di frustrazioni esistenziali, Roberto D’Aversa è forse il miglior esempio di come competenza e applicazione lontano dai riflettori e dai toni sopra le righe di certe realtà pallonare italiane, risultino un fattore decisivo nella rivincita più significativa di oggi: quella della professionalità sul budget

Per D’Aversa, le fonti di ispirazione nel suo lavoro sono tante: Zdenek Zeman (‘un maestro’), Gian Piero Gasperini (‘grandissimo allenatore’), Stefano Pioli e Simone Inzaghi (‘due persone che stimo’), Fabio Grosso (‘per lui ho sempre un pensiero positivo’) e Delio Rossi (‘uno degli esempi più formativi della mia carriera’). Non male.

Una volta, Roberto confessò che ‘mi piacerebbe lavorare sempre con una certa continuità, perché per dare i propri principi ed i propri concetti ci vuole del tempo. La mia ambizione è questa. Non mi sento un allenatore per 3 o 4 mesi. Ho l’ambizione di arrivare a livelli alti, valuterò anche il progetto perché ci sono piazze importanti che non possono essere giudicate dalla categoria. Come modulo ho sempre cercato di giocare con il 4-3-3, magari anche variando in un 4-3-2-1 portano dentro gli attaccanti in base alle loro caratteristiche. Alla Sampdoria ho giocato con un 4-4-2 perché le caratteristiche dei calciatori si adattavano a questo sistema di gioco, che dipende sempre dai calciatori che hai a disposizione. Se ho la fortuna di poter costruire una squadra cerco sempre di farlo affinché possa giocare con il 4-3-3 ma non sempre alla stessa maniera. Bisogna sempre ragionare sulle due fasi: sul modo di difendere e su quello di costruire. La costruzione può essere fatta a 4, ma anche a 3 abbassando un centrocampista e tenendo un terzino bloccato. Poi ovviamente dipende tutto dalle caratteristiche dei propri giocatori e della squadra che si va ad affrontare'.

In un’altra intervista, invece, D’Aversa ammise candidamente che non sono un difensivista. Secondo me esistono etichette e luoghi comuni nel calcio e molti allenatori sono costretti a subirle. Forse la mia unica colpa è quella di non sapermi ‘vendere’ abbastanza dal punto di vista mediatico. Io credo che ogni allenatore abbia una propria filosofia di gioco, ma, alla fine, ciò che conta, è la materia prima che hai a disposizione. Il bravo allenatore è quello che sa sfruttare i giocatori che ha in organico, tirando fuori il massimo da ognuno di loro. Tutto il resto non conta. Ho l’ambizione di continuare a migliorarmi e proseguire il percorso che ho intrapreso. Quindi se troverò l’ambiente giusto dove poter esprimere le mie idee, sarò ben felice di rimettermi in gioco

Una delle ultime partite commentate da D'Aversa in tv in qualità di opinionista è stata Lazio-Lecce, partita che ha arriso ai nostri colori. Già in quel frangente, Roberto ammetteva di attendere l'occasione giusta per tornare. Non avrebbe (forse) mai immaginato che proprio uno dei due club di quel match lo avrebbe contattato, dopo qualche mese, per averlo con sè.


Non resta che attendere e vedere se la sensazione che suggerisce Lecce quale piazza (o, per parafrasarlo, l’ ‘ambiente giusto’) per il suo rilancio possa diventare raggiante realtà. Le premesse, naturalmente, ci sono tutte.

Benvenuto e buon lavoro, Roberto!

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