Quella volta che Di Natale sconfisse da solo il Lecce…
Serie A, Udinese-Lecce: Totò Di Natale
Lecce e Udinese continuano la loro preparazione in vista del prossimo impegno di campionato che li vedrà protagonisti, alla Dacia Arena, per la nona giornata.
Entrambe le squadre sono reduci da un pareggio nell’ultimo turno giocato prima della pausa per le Nazionali, rispettivamente contro Sassuolo ed Empoli e si distanziano di ben sette lunghezze in classifica. I padroni di casa, allenati da Sottil, hanno ottenuto fino ad ora cinque pareggi in questo avvio di stagione, senza ancora riuscire a vincere, occupando il quart’ultimo posto della graduatoria; un ennesimo passo falso da parte dei friulani potrebbe essere fatale, specie per il loro tecnico il cui posto in panchina non sembra più essere così stabile e duraturo. Discorso diverso per i giallorossi che in queste primissime battute hanno raccolto 12 punti, frutto di tre vittorie e altrettanti pareggi, perdendo solo le sfide contro Juventus e Napoli.
La trasferta in Friuli però, non ha mai portato bene ai salentini che in 25 incontri disputati in casa dell’Udinese, sono riusciti a non perdere solo in 8 occasioni, tra vittorie e pareggi, a fronte di 17 sconfitte. Dati allarmanti che presagiscono un’altra, ennesima battaglia nella quale bisognerà lottare e soffrire, con tutti i propri mezzi, per portare a casa un risultato positivo.
Tra le tante batoste subite contro i bianconeri, davanti ai loro tifosi, ve ne è una in particolare risalente allo scorso 14 novembre della stagione 2010/11. In quell’annata i giallorossi, allenati da Di Canio, riuscirono al termine di una lunga e logorante cavalcata a ottenere la salvezza nel finale di torneo, vincendo un derby contro il Bari che verrà ricordato nelle pagine di cronaca più tristi della storia di questo sport e dello stesso club di Via Colonnello Costadura.
In quegli anni, l’Udinese dell’allora allenatore Francesco Guidolin, era una delle squadre più belle e divertenti da veder giocare dell’intero campionato di Serie A, grazie ai suoi innumerevoli interpreti in rosa, di estrema qualità e raffinatezza, che incantavano ogni domenica i propri tifosi grazie alle loro giocate di pregevolissima fattura e straordinaria capacità tecnica. Tra questi: Alexis Sanchez, Asamoah, Benatia, Handanovic ma uno in particolare, uno più di tutti. Antonio, Totò Di Natale. Quella partita finì 4-0 per i friulani ma a deciderla fu un nome: il suo. Tre gol in meno di 45 minuti. Un uragano inarrestabile, nulla da fare per i poveri giallorossi in campo che potevano solo rimanere impassibili allo strapotere del ragazzo in maglia 10.
Quell’anno Di Natale mise a segno 28 gol in 31 partite, trascinando la sua Udinese al quarto posto in classifica, qualificandosi ai preliminari di Champions League e facendo vivere ai propri tifosi alcuni dei momenti più indimenticabili della storia di questo club.
Il suo nome in questa piazza non passa inosservato. Come farebbe, d’altronde, a passare inosservato qualcuno che in 445 presenze ufficiali con la stessa squadra, mette a segno 227 gol. Come farebbe a passare inosservato qualcuno che sceglie, a vita, per più di dodici anni di rimanere nello stesso ambiente, di soffrire nello stesso posto, di gioire con gli stessi colori.
Nessuno gli avrebbe potuto negare di andare altrove, in contesti più prestigiosi, in squadre più blasonate (tutto il rispetto ovviamente per quella con la quale ha giocato per così tanto tempo), vincendo molti più trofei e probabilmente guadagnando molti più soldi. Aveva tutti i mezzi, tutto il talento per permetterselo ma a volte non sempre è ciò che conta in questo sport ed è bello ogni tanto ricordarlo. Lui ha scelto Udine come seconda casa, l’Udinese come seconda famiglia. Un tatuaggio sulla pelle, un amore destinato a durare in eterno perché in un calcio sempre più attaccato al Dio denaro, sempre più viscerale e superficiale, a volte è bello ricordare, raccontare queste storie per non dimenticare mai quello che sono, che dovrebbero essere i veri valori di questo sport. Antonio Di Natale ne è un esempio e probabilmente questa, in fin dei conti, è stata la sua vittoria più grande.