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103 partite in giallorosso e 4 gol, Maurizio Raise è stato uno dei protagonisti della maglia giallorossa nei primi anni '80. Alessio Sportella lo ha raggiunto telefonicamente per noi per intervistarlo. Lei è stato uno degli artefici della prima storica promozione del Lecce in Serie A. Quali sono i ricordi che le sono rimasti più a cuore nel corso di quella storica annata? “Il primo ricordo che ho è quello del mio arrivo. L’anno prima il Lecce fece un grande campionato, senza riuscire a salire, quell’anno, invece, c’era molto entusiasmo. Ricordo bene che venni contattato l’ultimo giorno del mercato estivo. Io ero al mare, dopo che il Catanzaro non mi aveva riconfermato, quando mi arrivò una chiamata da Mimmo Cataldo che mi disse: <<Vuoi venire qui a Lecce?>>. Alla mia risposta <<Si, perché no>> disse: <<Prendi la macchina e domani presentati a Lecce>>. Fui l’unico acquisto della società giallorossa in quella sessione di calciomercato e, al mio arrivo, mi ritrovai in un gruppo, anzi, una famiglia già compatta, che mi accolse in una maniera eccezionale, tant’è che alla fine del ritiro mi sembrava di conoscere tutti da sempre. Quello è stato uno dei punti di forza, noi non eravamo una squadra, eravamo una famiglia”. E della promozione? “Il secondo ricordo è quello della promozione, anche se mi è rimasto più impresso il rientro a Lecce. Dopo la partita di Monza siamo stati ospiti della Domenica Sportiva, quindi rientrammo il lunedì. Quell’anno, ogni volta che arrivavamo all’aeroporto di Brindisi dopo le trasferte, c’era sempre un gruppo di tifosi che veniva a prenderci e ci scortava fino a Lecce, quel giorno lì non c’era nessuno. Meravigliati salimmo sul pullman e cominciammo ad andare verso il capoluogo salentino. Ad un certo punto ci accorgemmo che per strada c’erano delle macchine che, a “staffetta”, come passava il pullman, si univano ad esso. Una volta svoltata l’ultima curva, sul rettilineo dove ora c’è l’Hotel Tiziano, trovammo tutta la città riunita: sembrava di vedere la maratona di New York dall’alto. Mi vengono i brividi solo a pensarlo, fu una bellissima emozione”. Uno dei punti di forza fissi del club giallorosse è, di certo, il tifo, che accompagna la squadra sia nei momenti di festa, che di bisogno. “Il pubblico di Lecce è qualcosa di favoloso, ho passato quattro anni fantastici. Penso che qualsiasi calciatore avrebbe voluto avere un pubblico così, ma non solo il tifo, anche le persone, una cosa unica in Italia. Uno mi può dire Juventus, Milan, Roma, ma il calore che c’è a Lecce non c’è da nessun’altra parte”. Con uno sguardo al passato, qual è il ricordo più bello che porta con sé dell’esperienza in maglia giallorossa, e quando, invece, avrebbe voluto prendere un’altra decisione. “Parto dalla sconfitta dello spareggio contro il Cesena, quella è stata una ferita. Quando la mattina del giorno dopo tornammo all’Hotel delle Palme, dove eravamo in ritiro, si presentarono alcuni tifosi, quelli più esagitati, che ci presero a cattive parole. Ne ricordo uno in particolare che mi si avvicino e mi disse: <<Sei questo, sei quello, sei quell’altro>>. La mia unica risposta fu: io da Lecce non me ne vado finché non riporto la serie A, cosa che avvenne l’anno dopo sotto la guida di Mazzone. Il mio unico rimpianto che ho è legato proprio a questo: è quello di, dopo la seconda promozione, non essere riconfermato in giallorosso, dove sarei voluto rimanere a vita. Le cose, però, non sono andate così e le ho accettate, anche se Lecce e tutto il Salento mi sono rimasti nel cuore”. Come vede il Lecce attuale? Può riuscire nell’impresa della salvezza? “La dimostrazione è la finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli: tutto dipende dalla preparazione delle squadre. Se ti presenti con il motore già caldo, le possibilità di raggiungere l’obiettivo aumentano e di tanto. Se ti presenti con il motore da riscaldare, sei in ritardo di preparazione, potresti avere dei problemi. Ho fiducia nel Lecce, ha fatto qualche cosa brutta, ma ha fatto anche tante cose belle, ha le carte per giocarsela e spero possa salvarsi”. Quale è l’arma in più su cui mister Liverani e tutta la squadra devono fare affidamento? “Secondo me deve essere la massima tranquillità, scendendo in campo decisi e sapendo già cosa fare. Ormai non si può più concedere nulla. Purtroppo i giallorossi dovranno incontrare squadre sulla carta più forti, ma il campionato lo si gioca contro le squadre dello stello livello”. Con un occhio di riguardo verso la sua posizione, invece, come è cambiato il ruolo del centrocampista da quando giocava lei ad ora? “È cambiato nel senso che ci sono questi moduli e numeri che poi non servono a niente, perché, se si sposta un solo giocatore, si muovono tutti i tasselli. Ora il centrocampo è l’anima della squadra, lo era anche un tempo, ma ora di più: protegge la difesa e accompagna le azioni d’attacco, quindi bisogna avere molta attenzione e un buon acume tattico, che i giocatori di oggi stanno acquisendo sempre di più".
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